Più spesso di quanto si pensi succede che le storie immaginate siano più vere di ogni realtà.
Il mare
Durante la mia infanzia non sono mai stato al mare. Potevo vederlo solo in televisione o al cinema, potevo visitarlo unicamente con la fantasia, nutrita dalle pagine dei libri che leggevo avidamente. Sognavo senza sosta questa grande meraviglia della natura, questo immenso spazio fluido senza rive, e avevo la sensazione di essere là, cullato da dolci onde, circondato dal rumore dell’acqua e scaldato dalla luce del sole.
Crescendo, la mia percezione del mare cambiò. Avendo ormai un lavoro potevo permettermi di andare al mare due volte l’anno. Durante le ferie mi davo alla pazza gioia, alle feste in spiaggia e al dolce far niente. Ora la mia vita è cambiata di nuovo e finalmente ho avuto la possibilità di vivere al mare, realizzando così il mio sogno fanciullesco.
Adesso, quando vado al mare, mi metto ad osservare le persone e cerco di studiarne le percezioni, di carpirne le emozioni. Sono così pure e sincere che mi attraggono con i loro misteri e la loro spensieratezza. Mi piace guardarle attentamente e fantasticare su quello che pensano.
Le persone che vengono al mare diventano un gruppo diverso da tutti gli altri. La sconfinata distesa blu le rende più buone, più tenere e più tolleranti.
Ecco una giovane coppia, un ragazzo e una ragazza che si abbronzano. Sembra siano venuti al mare insieme per la prima volta. Sono innamorati, sono ancora ingenui, ma i raggi solari, oltre a scaldare le loro pelli salmastre, iniziano ad accendere la fiammella della passione nei loro giovani cuori. Sono cosi attratti l’uno dall’altra che non notano nessuno intorno a sé e non si rendono conto di attirare gli sguardi dei passanti.
Solo l’educazione mi permette di distogliere lo sguardo dalla tenerezza di questa coppia. Nel mentre, di fronte a me, sento un gruppo di ragazze cinguettare con entusiasmo come fosse uno stormo di uccelli, richiamando l’attenzione dei vicini di ombrellone.
Sono giovani, birichine e allegre, si guardano intorno con curiosità e malizia fino ad incrociare gli sguardi di un gruppo di ragazzi seduti vicino ad un’altra coppia, un imponente uomo di circa 60 anni che racconta teneramente qualcosa alla sua compagna, che ha molti meno anni di lui.
Il sorriso di questa ragazza ricalca sul suo viso un’espressione sognante. Si vede che è contenta della sua vita e vorrebbe che questo momento durasse per sempre.
Il caldo estivo, sommato alla piacevole acqua marina, ha un effetto benefico sulle persone rendendole più buone, esaltandone gli istinti migliori, regalando loro un inebriante senso di leggerezza e amore. Osservando tutto ciò mi viene voglia di prendere parte a questa immensa tenerezza dei sensi con la mia amata compagna. Avvicinandomi a lei, tranquillamente seduta sulla sdraio, provo ad abbracciarla come una volta e ad accarezzarle le ginocchia abbronzate, sfiorandole appena con le mie labbra…
— Puoi andare a fare un bagno nel mare, così ti rinfreschi subito! — Disse con un gesto di stizza, distruggendo all’istante l’illusione di tenerezza e beatitudine che cresceva dentro di me.
— Si, hai ragione, — risposi io, risvegliandomi dai miei sogni.
E così finisce una favola appena iniziata. A me, nella vita, non rimane altro che guardare come sono belle le altre coppie, uomini e donne felici e abbronzati. Non mi resta che sognare, come da bambino facevo con il mare, cercando per le mie fantasie un porto sicuro che le metta al riparo dalla spietata realtà.
Sul dirupo
La vita viene spesso paragonata ad un panno a righe: righe nere — sfortuna, righe grigie — routine. Di tanto in tanto tra di loro lampeggiano strisce luminose di felicità. Saltare rapidamente dal nero al bianco — significa sentire la pienezza della vita. Un’altra cosa è proseguire lungo la striscia nera per lungo tempo, sopportando infinite sconfitte e fallimenti.
In queste circostanze, Leo vi si trovò sul limite del trentesimo anno di età. Sembrava che la fortuna gli avesse girato le spalle per sempre. Prima le disgrazie si sono abbattute sulla sua attività, nel quale Leo investì tutti i suoi soldi e forze. Già da ragazzino, sognava e si vedeva in qualità di proprietario di un bar. Immaginava una sala accogliente, le sedie di rattan francesi, fotografie di automobili d’epoca sulle pareti… Leo faceva due lavori contemporaneamente, mettendo da parte ogni soldo, finché non raggiunse la somma necessaria per pagare l’affitto e l’acquisto dell’attrezzatura.
Prese in affitto un locale in un buon quartiere affollato. Affittò il bar proprio come sognava nell’infanzia, Assunse due cuochi e creò un menù utilizzando delle idee molto audaci. Il bar non è mai stato vuoto. Gli impiegati e le segretarie degli edifici accanto passavano prima di andare al lavoro per bere un caffè con brioche calde e sfogliare giornali appena usciti. I tassisti venivano a pranzo per mangiare una cotoletta con purè di patate. La sera invece arrivavano gli innamorati, a loro piaceva la chanson francese che veniva diffusa dalle casse.
Leo cominciò a ricevere un cospicuo guadagno e continuava a migliorare la sua attività — comprò una TV grande per il suo locale e delle piante esotiche nei tini. La moglie Laura lo aiutava con la contabilità e gli dava dei consigli innovativi sul design. Ma poi, a sinistra del bar aprirono un ristorante cinese, molti dei clienti si spostarono lì, in cerca d’esotico. Leo cercò di competere con i concorrenti, abbassando i prezzi. Ma per farlo, fu necessario licenziare uno dei cuochi e diminuire lo stipendio alle cameriere.
Poi, nel giro di qualche mese aprirono un fast food americano. Leo calcolò che ora, in media, da lui passavano solo sette persone al giorno. Licenziò le cameriere e inseme a Laura cominciarono a servire i pochi clienti che c’erano. Ma i tentativi di salvare il business erano insensati. Leo si indebitò con i fornitori di alimentari, e non riusciva a pagare la luce e l’acqua. L’affare di tutta la sua vita stava crollando davanti ai suoi occhi.
Leo perse l’appetito, dormiva male. Stanco e grigio in faccia, tornava a casa in piena notte, facendo i calcoli delle perdite in mente, provando a inventare qualche via d’uscita. In una di queste sere, mentre stava tornado a casa, vide sua moglie con un altro uomo. Erano in una mercedes di color rosso scuro, parcheggiata sotto un lampione, e si baciavano appassionatamente. Leo, tormentato dalle sfortune per la sua attività, in silenzio li osservava. Vedeva, come la sua bella, amata Laura, abbracciava il collo di uno sconosciuto vestito di un abito costoso, come la sua mano toglieva la bretella del suo vestito dalla spalla…
Leo sentì un dolore bruciante al cuore e si bloccò sul posto, come se fosse paralizzato, senza le forze per muoversi. L’orribile scena della mercedes gli rimase in mente per tanto tempo, anche se lui con tutte le sue forze provava a non pensarci. Si senti male anche per le parole di Laura, che pronunciò facendo la valigia:
— Si, ti ho tradito, e non mi vergogno per niente! È impossibile vivere con te, sei uno sfigato! Stai cadendo in una fossa e cerchi di tirare dentro anche me!
Leo le dava le spalle, guardava le luci serali della città, e semberava come se non ascoltasse. Era consapevole che Laura, la sua amata e sua unica amica, l’aveva tradito e l’aveva lasciato nel momento più difficile della sua vita.
— Perché? “Come poteva farlo?” — continuava a chiedersi Leo.
Niente aveva più senso. Non era necessario andare più al bar, per preparare il caffè per l’amata. Non serviva nemmeno farsi la barba, non aveva più senso. Nel petto aveva un continuo, irritante grumo di dolore. Leo cercava di dimenticarla con l’aiuto della birra e del vino, ma la pesantezza della situazione non passava. Di giorno lo tormentava la malinconia, di notte — l’insonnia oppure incubi.
Continuamente gli appariva la figura di Laura nelle mani di un altro. Leo, come un onda vicino, sentì l’aroma della sua pelle, che sapeva d’erba di campo, sentì il suo respiro spesso e i sospiri amorosi smorzati. L” Alcool all’inizio gli inaspriva le dolorose allucinazioni, poi lo faceva crollare in un sonno profondo. Svegliandosi, Leo vedeva di nuovo Laura, i suoi occhi chiusi dal godimento, la sua mano sottile sul collo dello sconosciuto che veste un abito costoso…
Che senso ha vivere ancora in quest’inferno? Lavoro, moglie, soldi — tutto è perso. Sono rimasti solo i debiti, e non ci sono i mezzi per saldarli. Sembrava, che tutto il bene fosse sparito per sempre insieme a Laura. Leo non poteva pensare al suo futuro senza nostalgia e paura. Involontariamente gli veniva in mente suo zio, che si era ucciso con un colpo di fucile e suo cugino che si era impiccato. I motivi di entrambi suicidi sono rimasti sconosciuti. In famiglia parlavano di perdite nascoste al casinò, di malattie mortali e perfino di amanti ricattatrici. Ma queste erano solo delle versioni. Ora a Leo sembrava di aver capito il motivo per cui i suoi parenti scelsero proprio questa via. Semplicemente si erano stancati della vita.
E ora era stanco anche lui. Seduto alla guida della sua auto, guardava i monti da entrambi i lati della strada e sussurrava:
— Solo gli uomini coraggiosi riescono volontariamente a porre fine alla propria vita, quando realizzano di aver fallito.
Con sicurezza guidava l’auto su una stretta serpentina di montagna verso la riva del mare. In mente aveva Laura. Leo immaginava il suo viso, quando lei verrà a conoscenza. Sicuramente riconoscerà la sua colpa, tremerà d’amara vergogna e molto probabilmente piangerà. Perché lei non è mai stata insensibile. E” giusto che viva con un sasso pesante sulla coscienza per l’eternità, pensava Leo, facendo arrivare l’auto sull’alta rupe al limite, dove cominciava il mare.
Questo era il posto preferito per l’esercitazione degli alpinisti. La Prima discesa delle rocce era ripida, quasi verticale. Sulla seconda discesa la rupe era dolce per cui si poteva salire con la macchina. Trecento metri più in là dalla cima c’era anche un parcheggio attrezzato. Leo lasciò lì la sua auto e poi andò a piedi. Il sole scendeva, e al crepuscolo era difficile salire sullo scivoloso sentiero. Ma Leo andava avanti senza alcuna paura.
— In 5 minuti finirà tutto, cara Laura, — Borbottò lui, mostrando sul viso un sorriso beffardo.
Salì sulla cima e di colpo vide nelle ultime luce del tramonto il profilo di una persona. Qualcuno stava sull’ estremità e si chinava verso il basso, sembrava stese misurando l’altezza del dirupo.
— Penso, ma quanto tempo durerà la caduta? — all’improvviso si chiese da solo Leo.
La persona si girò di scatto verso di Leo. Era una ragazza giovane che vestiva un mantello chiaro. Il vento di montagna agitava i suoi lunghi capelli sparsi.
— In totale solo 5 secondi, — continuò Leo, — ma dicono che in questo momento ti passa tutta la vita davanti
Lui fece un passo in avanti verso la ragazza e vide che aveva lacrime negli occhi e il suo viso era spaventato. Lei tese una mano avanti, come se vietasse a Leo di avvicinarsi.
— Va bene, io non faccio passi avanti, — con calma pronunciò lui, — vorrei solo avvisarti. A delle persone non importa niente delle tue pene. Tu pensi che costringerai qualcuno a torturarsi per i sensi di colpa per la tua morte? Non ha senso! Ti spaccherai la testa, resterai sdraiata sui sassi mutilata e coperta di sangue. Loro ti seppelliranno, e in tre giorni dimenticheranno tutto. Per cosa ti vuoi uccidere?
La voce dell’uomo era chiara e convincente. La ragazza velocemente si allontanò dal dirupo
— Perché lo volevi fare? — chiese Leo, — Hai perso il lavoro che ti piace, come me? Hai perso tutti i risparmi, come me? Ti ha lasciato la persona cara, e tu sei rimasta da sola nel momento più difficile della tua vita?
Lui allungò la mano verso la ragazza, volendo prenderla per il gomito e portarla via dal dirupo. Lei d’improvviso sorrise e di colpo si asciugò gli occhi con il dorso della mano.
— Non preoccuparti! Io stavo per saltare da lì. Semplicemente fotografavo i monti e per caso ho fatto cadere il telefono E i miei occhi sono bagnati per colpa del vento… Sai, sei molto simpatico. Buono e intelligente. A te serve solo una persona che potrà sostenerti nelle disgrazie. Vorresti fossi io questa persona?
Con queste parole la ragazza prese Leo per mano e lo portò via dal dirupo.
Angelo canino
Marco si svegliò alle sei di mattina, e come di consuetudine decise di fare una corsa lungo il mare. Era un’ hobby che praticava da tempo, ormai, ed era diventata parte della giornata.
L’itinerario lo portò lungo le vie che oramai conosceva a memoria, passando le case con i giardini curati, con tanti meli, fichi e altri alberi da frutto. Mentre correva e si godeva il panorama godeva di un’aria fresca proveniente dal mare, le cui acque bagnavano la costa di questa piccola cittadina turistica in Slovenia, del quale non potè fare a meno di innamorarsi.
Amava fermarsi durante la corsa per osservare il panorama. Era uno spettacolo incantevole: osservava i primi raggi del sole attraversare le nuvole grigio-bluastre che sormontavano la costa.
— Hai le scarpe slacciate. Occhio, che rischi di cadere! — disse un’esile voce.
Marco sussultò e si guardò intorno, ma non vide nessuno.
— M'è sembrato di sentire qualcuno, — pensò Marco, sorridendo ai propri pensieri.
— Non ti e’ sembrato affatto! — si sentì dire dalla stessa voce. –Guardati i piedi! —
Marco, impietrito dalla sorpresa, vide vicino a lui un labrador di color oro, che lo fissava direttamente negli occhi.
— Sei tu quello a cui piace parlare? — chiese Marco, non potendo credere di aver appena risposto ad un cane. Lui, un uomo per bene e con la testa a posto, sano, giudizioso, che ad un tratto si mette a parlare con un cane? Chi potrebbe mai crederci? Nemmeno lui riusciva a credere cosa stesse succedendo.
— Certo che sono io, — rispose il Labrador –Sono cambiato così tanto da non riconoscermi, padrone? — continuò con allegria.
Marco non poteva crederci. Era il suo Labrador! Il suo amico a quattro zampe che dieci anni prima dovette lasciare agli allevatori. Il dolore che provò dopo il distacco lo perseguitò per molto tempo a seguire.
— Almeca! Oh mio Dio! Sei davvero tu? Cosa ci fai qui, a mille chilometri da casa? E sai pure parlare? O sono andato fuori di testa? — — chiese Marco con una voce tremante.
— Non sei andato fuori di testa, — rispose Almeca — Anch’io sono rimasto molto sorpreso nel vederti correre ieri. Ho passato tutto il giorno a riflettere se fosse il caso di venire a parlarti. Ho dovuto chiedere il permesso per venire a parlarti. Lo vedi anche tu che questa e’ una situazione anomala. Ma sono dovuto venire. Mi manchi tanto, padrone! — disse mentre la coda cominciò a muoversi rapidamente.
— Sicuramente ti devo delle spiegazioni. — continuò Almeca –Ti ricordi il terribile incidente che ci capitò? Quella sera d’estate quando quel gruppo di giovani ubriachi decise di fare un’inversione a U andando contromano e tu andasti a sbattere contro di loro? — continuò il Labrador senza smettere di dimenare la coda e continuando a fissare gli occhi di Marco.
Marco ricordava benissimo quella terribile sera, in ogni suo particolare. Quell’episodio gli tornava in mente molto spesso e dopo averlo analizzato tante volte si era autoconvinto che non avrebbe potuto evitare l’incidente. I suoi riflessi pronti, con l’aiuto del fato, fecero sì che l’incidente non causasse numerose vittime. Almeca era seduto sui sedili posteriori e rimase illeso, mentre Marco, che era al volante, accusò ferite gravi e molte fratture. Si salvò per miracolo, e dovette curarsi a lungo.
— E cosi, dopo l’incidente, il tempo sembrava essersi fermato, e il nostro Signore- disse Almeca, indicando con la testa verso l’alto — mi chiese se fossi stato disposto ad andare lassù al posto tuo.
Almeca si mise a sedere e continuò:
— Io, ovviamente, detti la mia conferma, ma con un paio di condizioni: che tu non avresti dovuto sentirti in colpa per la mia morte e che io sarei dovuto restare in vita fino ad un paio di giorni dopo la tua guarigione.
Poi ho pensato di scappare, ma tu decidesti di riportarmi dal mio allevatore, visto che con tutte quelle ferite non potevi starmi dietro.
Marco continuava ad ascoltare attentamente, ricordando quella terribile esperienza.
— Quindi ora sono un angelo custode per i cani.
— Continuò Almeca sorprendendo ulteriormente il suo vecchio padrone — A dire il vero nessuno può vedermi, tranne in casi speciali. Per questo ho dovuto chiedere il permesso.
Il mio lavoro consiste nell’accompagnare le anime degli animali domestici (come mucche, capre, criceti,…) nel loro viaggio versò lassù. Ovviamente aiuto anche i miei simili, che qui sono tanti e le persone li curano molto bene. I più difficili da seguire sono i gatti, — protestò Almeca; — perché vanno per conto loro e sono molto arroganti! C’e’ tanto lavoro e gli angeli custodi canini del posto non amano lavorare velocemente… sono lenti, lenti, lenti! — disse Almeca con un espressione ridicola.
— Io ti devo la mia vita- disse finalmente Marco.
— Ma figurati. La vita, noi tutti, la dobbiamo solo a lui! — rispose Almeca alzando nuovamente il naso al cielo.
— Significa, — continuò Almeca, — che la tua presenza sulla Terra era ancora necessaria e Lui aveva ancora dei programmi per te. Le casualità, come quella capitata a te, non sono altro che maglie di una catena decisa dal Signore, che ci porta tutti noi su una strada verso un obiettivo più importante. Ogni essere vivente ha il proprio obiettivo, un proprio destino da compiere. E quando qualcosa ci appare come una casualità una coincidenza, in realtà fa tutto parte di un piano che noi non conosciamo. Noi non possiamo nemmeno immaginare in cosa consista questo obiettivo, noi possiamo solamente tentare di vivere in sintonia con l’amore. Sentire questa passione anche nei nostri gesti abituali, quando con il proprio corpo e la propria anima senti che tutto ciò che succede intorno a te è giusto.
Per noi è difficile fare delle opere di bene, ma possiamo almeno evitare di fare delle cattiverie. Tutto questo sarà notato e riconosciuto! — disse saggiamente il labrador.
Almeca girò la testa, come se stesse ascoltando una voce inudibile. Poi, voltandosi verso Marco, esclamò: -Ho appena sentito che hanno bisogno di me in una città qui vicino. Devo spostarmi urgentemente perché i miei colleghi locali non riescono a finire gli incarichi lavorativi. Ti saluto padrone! Forse ci rivedremo ancora! Ah si, dimenticavo… allacciati le scarpe, per favore! — Con queste parole Almeca salutò il vecchio padrone e si mise a correre lungo la spiaggia.
Marco rimase sconvolto. Seguì Almeca con lo sguardo, poi si mise a guardare le onde del mare e alla fine posò gli occhi sulle sue scarpe. Non poteva credere cosa gli fosse appena accaduto.
L’errore
Per tutta la notte pensieri gravidi d’ansia e d’angoscia non fecero chiudere occhio a Boris. L’uomo continuava a chiedersi cosa fosse andato storto nella sua vita e perché la sua amata moglie fosse cambiata così sensibilmente negli ultimi mesi. Ilona all’improvviso si era messa a rimarcare antichi torti subiti e a far notare al marito i suoi hobby superficiali e le sue civetterie con le altre donne. A causa di questi ricordi poco piacevoli la coppia cominciò a litigare molto spesso. Tuttavia Boris seguitava a volere molto bene alla moglie e qui all’estero sentiva molto la sua mancanza. Quando Ilona veniva a fargli visita l’uomo cercava di convincerla ad abbandonarsi a qualche carezza intima. Lei non si tirava indietro, eppure si comportava in modo distaccato, passava molto tempo da sola e non gli raccontava nulla di sé stessa. Era evidente che in quel paradiso si stava annoiando e che era venuta solo per senso del dovere.
Fino a un paio di anni fa, Boris era un avvocato moscovita di grande successo. Si dedicava totalmente al lavoro sacrificando molto del suo tempo libero. Era spesso impegnato nei processi più complessi, quelli che attiravano l’interesse del pubblico e della stampa. Nella capitale il legale aveva creato nel tempo una fitta rete di conoscenze utili a cui ricorreva spesso per sviluppare i propri affari. In venti anni riuscì a mettere insieme una fortuna.
All’improvviso Boris si sentì stanco. Iniziò a sobbalzare ad ogni telefonata, non dormiva bene, controllava per ore gli incartamenti dei clienti senza capire cosa stesse leggendo. Capì di essere sovraffaticato, di avere lavorato troppo, di presentare tutti i sintomi tipici del burnout professionale. Si rese conto che non avrebbe potuto resistere un giorno in più in quell’ambiente professionale carico di tensione. Decise di riposarsi, di abbandonare i casi a cui stava lavorando e di trasferirsi in un piccolo paese affacciato sul mare alla ricerca di pace e tranquillità. Si comprò una casa confortevole con una piccola spiaggia privata e iniziò a vivere come aveva sempre sognato. Tutto sembrava perfetto, tranne quella sensazione di solitudine che lo colse sin dal principio…
Sua moglie infatti non voleva lasciare la rumorosa capitale. Spensierata e piena di vita, Ilona non poteva vivere senza assistere a movimentate jam session, andare alle prime a teatro, sottoporsi a lunghe sessioni di palestra e naturalmente incontrare i suoi innumerevoli amici. Tuttavia, non volendo ammettere la realtà delle cose, al marito e ai suoi conoscenti spiegava in modo diverso la sua decisione di rimanere a Mosca. Ilona insisteva sul fatto che non poteva lasciare la madre da sola, sebbene questa fosse una signora ancora piena di forze e di carica vitale. Boris fu costretto ad accettare la versione della moglie, in quanto non voleva privarla dello stile di vita a cui era abituata.
Ilona andava a trovare il marito una volta al mese e rimaneva con lui per due settimane. Quando Boris si svegliava, sua moglie era già in spiaggia. Nuotava fino allo sfinimento e poi prendeva il sole su una sedia a sdraio di paglia. Boris preparava la colazione, panini caldi, caffè e spremuta d’arancia, e gliela serviva in riva al mare.
“Oh, grazie tesoro,” gli rispondeva lei con voce languida.
A colazione restavano in silenzio, limitandosi a mangiare, bere e ammirare il mare. Dopo aver fatto una breve nuotata assieme ognuno si dedicava alle proprie faccende. Boris andava a pescare con un abitante del luogo in alcune isolette lì accanto, mentre Ilona prendeva la macchina e si recava nella vicina cittadina dove saltava da un negozio all’altro a caccia di souvenir o si fermava nei caffè a parlare con gli altri turisti.
Boris preparava anche il pranzo e la cena, e quando non ne aveva voglia i due andavano in un ristorante distante tre chilometri da casa. Ilona sembrava calma e addirittura amorevole. Non parlava molto, ma non rifiutava le avances del marito e dopo l’amore si addormentava sulla sua spalla come nei primi anni del loro matrimonio.
A volte un litigio rompeva questo idillio. Senza nessun motivo apparente Ilona cominciava a rimproverare il marito piena di rancore e cattiveria, la coppia iniziava a litigare e non si parlava per due o tre giorni. Boris non si spiegava lo strano comportamento della moglie, finché una notte il suo telefono appoggiato sul tavolino del letto non iniziò a lampeggiare.
Ilona stava già dormendo e Boris prese il telefono svogliatamente, pensando che fosse l’SMS di un’amica. Quando lesse il messaggio l’uomo trasalì, il suo cuore ebbe un fremito e iniziò a battere all’impazzata.
“Ciao! Mi manchi già! Ti voglio!”
Stringendo il telefono con mani tremolanti si diresse in bagno. Per sbloccarlo occorreva inserire la password, ma Boris era certo di poterla indovinare al primo colpo, era di sicuro che si trattasse della data di nascita della moglie. Digitò le otto cifre e improvvisamente davanti ai suoi occhi comparvero cuoricini, allusioni scherzose, appuntamenti nella famosa sauna” La tana dell’orso”. Non c’era alcun dubbio, Ilona aveva un’amante! La sua amata moglie, di cui aveva sempre avuto fiducia e non era mai stato geloso, lo stava tradendo con un altro uomo.
Boris comprese immediatamente ogni cosa. Trovò finalmente la spiegazione degli sbalzi di umore della moglie e della sua strana alienazione. Nella sua testa i pensieri turbinavano vorticosi: “Siamo stati insieme per venti anni… la sua vita è diventata noiosa, abitudinaria… Ho lavorato troppo, l’ho lasciata troppo spesso da sola. Nella nostra relazione la scintilla si è spenta… ma non riuscirei ad affrontare un divorzio proprio ora! Non potrei vivere da solo in un paese straniero senza la mia dolce metà…”
Allo stesso tempo Boris era tormentato da un’atroce domanda. Chi era il suo rivale? Controllò la rubrica telefonica della moglie e trovò il nome che cercava. “Questo bastardo si chiama Valera… Cosa devo fare di te, Valera?” Copiò il suo numero su un quadernetto e tornò a distendersi vicino alla moglie che dormiva ignara di tutto. Quella notte Boris non riuscì a riprendere sonno. I suoi pensieri ardevano di gelosia, l’intelletto era troppo impegnato nell’elaborazione di svariati piani di vendetta.
Trovare informazioni sul suo rivale si rivelò per Boris piuttosto semplice. Chiamò un vecchio amico che ricopriva una carica dirigenziale nella polizia, e un’ora dopo ricevette un email contenente i dati dettagliati del titolare del numero di telefono. Boris rimase esterrefatto. Si trattava infatti di un vecchio amico di famiglia, che lo aveva aiutato più volte a riparare la casa di campagna e l’appartamento, lo aveva consigliato sui materiali da acquistare e certe volte si era addirittura recato lui stesso nei vari negozi a reperire quanto necessario. Alto, di mezza età e con folti capelli grigi, era una persona che non perdeva mai la calma e non parlava mai molto.
“A Ilona sono sempre piaciuti questo tipo di uomini,” pensò Boris. La rabbia si impossessò del suo animo ferito, impedendogli di usare la ragione. “Questo disgraziato ha approfittato del fatto che non mi trovassi in patria e ha iniziato una relazione con mia moglie! Lo distruggerò e tutto andrà per il verso giusto!”
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